La Pastinaca

Dopo aver parlato di carote è doveroso parlare anche della pastinaca, perché in molte ricette è facile trovarle in sostituzione l’una all’altra.
foto tratta da cucina naturale dove potete anche trovare qualche indicazione
Nome scientifico: Pastinaca sativa
Origine: Europa
Aspetto: “lunga radice a fittone biancastra, foglie pennate con tre-cinque coppie di foglioline ovali a margine dentellato; fusto robusto, cavo, scanalato come il sedano; la radice emana un accentuato profumo di carota ed ha un’anima legnosa che va ovviamente scartata; rispetto alla carota, la consistenza della polpa è più farinosa e il sapore tende più al dolce che all’aromatico.” (1)
Ricette:
1. composte
2. insalate
3. fritte
Periodo di maggior apprezzamento:
XV-XVI secolo
Ricetta di Anonimo Padovano: (databile fra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo)
FRITTELLE 1:
2 libbre di pastinache private dell’anima legnosa e lessate
4 once di mandorle
1 oncia e mezza di spezie
un poco di uva passa
olio
Prendere le pastinache lessate e pestarle ben bene, aggiungervi le mandorle, le spezie e l’uva passa finché non sono ben amalgamante.
Friggere nell’olio.
FRITTELLA 2:
pastinache
formaggio grasso
uova
pepe
spezie
zafferano
Il modo di prepararle è uguale a “Frittelle 1”.
FRITTELLA 3:
pastinache
noci
spezie
acqua
farina
zafferano
Il modo di prepararle è uguale a “Frittelle 1”.
FRITTELLA 4:
16 pastinache mondate e lavate in acqua e sale
18 mele mondate e lavate in acqua e sale
farina
acqua
vino
spezie
zafferano
olio
miele
Affettare le pastinache e le mele.
Fare una pastella con farina, acqua, vino, spezie e zafferano.
Ricoprire le pastinache con le mele della pastella in modo omogeneo.
Friggere in olio.
Servire ricoperte di mele.
A me è venuta fame a solo scriverle (soprattutto l’ultima versione). E a voi?
Buon appetito
NOTE:
1. “La cucina medievale” di E.Carnevale Schianca

Le carote

Riprendiamo a parlare di alimenti che troviamo nelle nostre tavole, ma che sono state a quelle dei nostri avi da tantissimo tempo.
Cercherò di parlare sempre di frutta e verdura di stagione visto che io per prima, figlia del benessere e delle tavole imbandite, faccio fatica a capire la vera ciclicità della natura: ogni giorno dell’anno, attraverso la globalizzazione, abbiamo frutta e verdura in abbondanza e senza stacco di sorta sulle nostre tavole. Invece fino a dopo la seconda guerra mondiale la natura entrava nei piatti e ne usciva anche, dando ai nostri palati e al nostro fisico differenze e qualità.
Ho deciso di parlare di carote anche un po’ a caso e un po’ ripensando al fatto che dall’anno scorso all’Esselunga era possibile trovare delle carote viola sconvolgendo tutti. Qualcuno ha urlato in modo forsennato alla manipolazione genetica, agli ogm, all’arroganza dell’uomo; qualcuno le ha guardate dubbiose; qualcuno come me e qualche amica le ha comprate, mangiate e gustate. E soprattutto tinte le mani. Già esse tingono come l’inchiostro. Meravigliosa cosa.
Partiamo dall’inizio e come al solito uso il libro “La cucina medievale. Lessico, storia e preparazioni” di Enrico Carnevale Schianca, come punto di riferimento e di citazioni.
Pianta delle ombrellifere di cui si mangia la radice
Nome tecnico: Daucus carota
Le varietà erano in passato varie:
viola: coltivata dai Romani nel I sec. a.C., importando i semi dall’Oriente, ma con scarsi risultati di interesse visto che si estinse presto.
rossa: segnalata in Siria nel III-IV sec e considerata molto succulenta.
giallo-verde: conterranea e contemporanea a quella rossa.
Queste due ultime rimasero in auge per molto tempo.
Gli arabi la introducono in Spagna nel XI secolo e in Italia nel XIII secolo.
In quel periodo le varietà più diffuse furono quelle violacee, rosse e di mutanti gialle e bianche.
Quelle arancioni che tutti noi conoscono arrivano sulle nostre tavole nel XVII secolo e sono di importazione Olandese, dove vennero selezionate in onore della casa d’Orange.
Ostia antica: insegna di una taverna romana

 

Qualità:
la carota venne ritenuta molto diuretica e importante per la bile, ma anche afrodisiaca.
Grande diffusione:
soprattutto nel Quattrocento e nel tardo Cinquecento, ma da lì in poi fu sempre presente nelle mense di grandi e poveri.
Consumo:
raramente in insalata;
spesso in agrodolce;
famose soprattutto dal  XVI secolo in composte.
Ricette:
1) in agro dolce: cuocerle sotto le ceneri calde e poi condirle con olio, aceto e mosto cotto o sapa (di origine romana. Io la trovo all’Esselunga nella zona degli aceti e olii).
2) in insalata: Il medico genovese Ambrogio Oderico nel XVI secolo consiglia di lessarle e poi condirle con aceto, finocchio, zafferano e cinnamomo e servirle come intermezzo nelle cene invernali.
3) in composta: nel “Menagier” si puliscono, raschiano e tagliano a pezzi, cotte al dente, scolate e passate in acqua fredda e poi cotte nel miele.
Adesso provo a scartabellare negli altri libri per cercare altre ricettine carine.

La zucca nella Storia

Dopo aver parlato di amenità contemporanee è il caso di fare una piccola digressione nella Storia. 
Sappiate, a scanso di equivoci, che la storia della zucca è pre e post scoperta dell’America, questo perché non è assolutamente vero che prima dello “sbaglio” di Colombo noi non avevamo la zucca, ma piuttosto avevamo specie diverse di zucca che poi, purtroppo, sono state soppiantate da quelle americane. Anche se non del tutto.
La Lagenaria vulgaris è una pianta annua, rampicante, con fiori bianchi dal peduncolo lungo, frutti a buccia liscia, dura e sottile. di forma varia, ma simile a una bottiglia.
E’ originaria di gran parte del vecchio mondo (dall’India all’Abissinia) e si è diffusa ovunque abbia trovato climi temperati.
La Lagenaria siceraria“Zucca dei pellegrini” ha un aspetto un po’ più rozzo, dal collo più largo e strozzato alla base
La zucca trombetta invece è lunga ed anguiforme con un rigonfiamento ovoidale all’estremità.
in questo sito ho trovato questa bellissima foto e potete trovare tantissime altre foto di zucche con la spiegazione delle varie differenze.

Plinio (Storia Naturale XIX, 69) le divide in due attraverso la tipologia di coltivazione:
plebeiae o comuni cioè quelle che si lasciano espandere sul terreno;
camarariae quelle che si avviluppano sui pergolati.
Columella (L’arte dell’agricoltura e libro sugli alberi X, 381-385) da consigli per la coltivazione:
se si vogliono lunghe e sottili, raccogliere i semi dall’attaccatura del collo; se si vogliono invece grandi e rotonde prendere i semi dalla parte più panciuta.
Per il periodo medievale, nel Cinquecento viene attestata la coltivazione di zucche “indiane” e di zucche “marine, “che hanno tutte forma di melloni” (Mattioli 1568, p.542).
Nei Taccuini sanitatis vengono raffigurate delle lagenarie, ma il gusto doveva risultare un po’ insipido se non addirittura amare se pensiamo che negli usi di cucina si consiglia di raccoglierle prima che maturino, con la buccia verde e che si possa tagliare o raschiare con facilità.
La zucca viene considerata un alimento di natura fredda e umida, digeribile ma poco nutriente e produttivo di flemma; giova alle complessioni calde e nuoce a quelle fredde.
Ricettina di Anonimo Padovano (fine XV-inizio XVI): zucca con lardo:
mondare le zucche, tagliarle a pezzi e metterle nella pentola insieme al lardo battuto. Cuocere a fuoco dolce e rimestare continuamente. Si aggiunge poi il brodo di carne grasso colorato con un poco di zafferano, poi zucchero, spezie dolci e, a piacere, agresto.
La zucha è come homo ch’è indiferente a fare bene o male, che conversando con boni diventa bono, con cativi, cativo. Cossì la zucha: con boni cibi manzata è bona, con cativi, cativa.” (Savonarola 1515).
In  MM [1] si possono trovare delle ricette per zuppe dense:
cuocere la zucca in brodo di carne o anche solo acqua, e cipolle. Poi si scola tutto e lo si pesta nel mortaio e lo si passa per la stamigna, rimettendo a cuocere nel brodo grasso con un un poco di agresto e colorandolo con lo zafferano. La minestra va poi raddensata, fuori dal fuoco, con uova (solo i tuorli) e formaggio stagionato grattugiato. Servire con spezie dolci.
Leggendo il libro da cui traggo tutte queste informazioni (“La cucina medievale” di E.Carnevale Schianca) si può notare che su per giù quasi tutte le zuppe girano attorno a questo tipo di ricetta, magari cambiando un po’ le spezie (per esempio aggiungendo il pepe), mente se si parla di zuppe di magro o quaresimali per gli ammalati la zucca si prepara generalmente con il latte di mandorle.
Di certo non ci si negava nulla nel Rinascimento e quindi le zucche venivano anche fritte, con zafferano agresto e spezie oppure fatte a frittelle.
Frittelle di zucca:
mistura di tuorli rassodati, menta, prezzemolo, formaggio grattugiato, uva passa, pepe e cannella. Il tutto pestato e stemperato con uova crude; quindi unito alla zucca lessata e pestata col miele.
Oppure zucca cotta, amalgamate con pesto di prezzemolo, menta, maggiorana e pepe e legate con tuorli d’uova.
Nel Medioevo poi bisogna ricordarsi che per torta si intende un piatto salato e non dolce quindi l’abbinamento zucca, spezie e carne (di maiale e anche di pollo) non era una cosa anomala.
Ricettina di Mastro Martino per una torta di zucca:
mondare la zucca, grattugiarla e lessarla nel brodo o nel latte; mescolarla con una libbra e mezza di formaggio fresco , un po’ di formaggio stagionato grattugiato, una libbra di pancetta di maiale (o di tettina di vitella) lessata e ben battuta (oppure l’equivalente di burro o strutto), mezza libbra di zucchero, 6 uova, un bicchiere di latte, zenzero, cannella e zafferano; la torta è ad una sola sfoglia.
Per il suo gusto dolcino, ma delicato e per la sua consistenza, la zucca fu usata anche per la pasticceria minuta.
Ricettina dei “ravioli de zuche” di MOR [2]
ripieno: “zuchoti teneri” raschiati in superficie, privati dei semi e tagliati in cubetti e lessati. Poi strizzati bene e pestati, mescolati con formaggio grattugiato, ricotta, sale, zenzero, cannella e zafferano, un battuto di basilico e maggiorana. La pasta è di farina bianca intrisa con albume. Devono essere grandi (15 cm) tondi o quadrati poco importa, e per la dimensione la cottura prevede che vengano lessati. Si servono nei piattelli, messi a strati e sovrapposti e irrorati con una salsa di burro, formaggio, zenzero, cannella e chiodi di garofano.
Oppure si possono anche fare dei ravioli fritti con all’interno zucca, mandorle e spezie e poi si spolverizzano di zucchero. E questi vengono considerati ravioli quaresimali…
Ultima curiosità: la zucca tenera, raschiata in superficie e tagliata per il lungo in strisce, veniva fatta seccare e usata come riserva alimentare per l’inverno dai contadini (Bartolomeo Sacchi detto “Platina”).
Rileggendo l’articolo dedicato alla zucca nella bella enciclopedia della cucina medievali mi rendo conto che gli accostamenti con le spezie non cambiano, anzi; che la zucca va bene con carne e formaggio; che l’uso della zucca è maggiormente diffuso nel Rinascimento che in epoche precedenti; ma soprattutto che queste ricette fanno venire l’acquolina in bocca e che alla fine non sono nemmeno troppo dissimili dal nostro gusto.
NOTE
[1] = Ms Urbinate Latino 1203, Biblioteca Apostolica Vaticana, databile alla fine del XV sec o agli inizi del XVI, forse in Toscana
[2] = Morimondo, Ms “Ricettario”, Società Storica Comense, risalente al XV secolo e contiene 155 ricette

Aspettando il Grande Cocomero o la Grande Zucca

Chi mi conosce sa benissimo che non festeggio Halloween (perché sono in costume tutto l’anno e quindi non ne sento la mancanza e anche perché non rientra nelle mie credenze religiose), ma di solito mi piace guardarmi film dell’horror o cose del genere. In fin dei conti la notte che precede la festa di Ognissanti (non a caso la Chiesa ha messo una festa del genere dopo una notte così impegnativa) credeva nel ritorno dei morti nel mondo dei vivi, quindi una cosa molto horror.
Quest’anno invece per rilassare gli animi mi sono messa a pensare che potesse avere ragione Linus, dei Peanuts, che si poteva aspettare l’arrivo del Grande Cocomero. In Italia cocomero è stato inspiegabilmente usato per tradurre pumpkin che è la zucca. Linus aspetta la Grande Zucca, in realtà.
Così per aspettare la Grande Zucca, mi sono messa a cucinare pane e muffin. 
Sul pane ho dei seri dubbi, visto che non riesco a capire come mai sia venuto bassissimo. Di certo era un impasto molto liquido e ho dovuto usare una forma da plumcake per metterlo in forno. Proverò a rifarlo (ho trovato della zucca in frezeer e quindi da usare) senza usare forme di alcun modo. 

crosta molto bella
colore giallo arancio 

alveolatura buona, ma non mi ha convinto molto. Rimane un po’ ammassato in alcuni punti.
Se qualcuno avesse dritte da darmi sono assolutamente benvenute.
Mentre i muffin sono stati una vera rivelazione e sono venuti benissimo, anche se non avevo calcolato la quantità di impasto e quindi sono andata a cercare all’ultimo minuto tutti gli stampi possibili immaginabili di silicone che potessi avere in casa. Ecco perché ci sono maialini, cuori e formine natalizie (devo però comprare quelle di halloween).

Di questi vi metto la ricetta, scaricata dalla mia mamma via internet (spero che riesca a riprendere il link per poterlo postare)
In realtà sono dolcetti ripieni dalla farcia, io però li ho fatti semplici e quindi metto la ricetta come l’ho fatta e modificata (non avevo abbastanza spezie di quelle richieste e ho dovuto rimediare).
RICETTA
Ingredienti
100 gr di zucca cotta a vapore
2 uova
200 gr zucchero di canna 
spezie: cannella, chiodi di garofano tritati, anice stellato tritato, zenzero. [nella ricetta originale c’è un cucchiaino di cannella e poi q.b degli altri, e non c’era lo zenzero. La mia miscela fatta a occhio a me è piaciuta comunque, perché lo zenzero da un po’ di pizzicorino molto piacevole]
1 pizzico di sale
80 gr di burro fuso e freddo
100 gr latte
180 gr manitoba
1/2 bustina di lievito per dolci
Unire con le fruste elettriche le uova, lo zucchero, le spezie e il sale.
Poi unire anche il burro, il latte, la zucca, la farina e il lievito
Versare negli stampini a 3/4 della capienza.
Cuocere a 180° per 15′.
Raffreddare e poi sformare.
Fatti! Semplicissimi e molto buoni.
Conservarli in una scatola ermetica permette di poterli gustare a lungo, se no tendono a seccarsi.
Ora per non fare un post troppo lungo, posticipo la parte storica sulla zucca al prossimo post.
Con la grande pioggia forse anche il Grande Cocomero se ne è stato a casa e io capisco benissimo Linus…
… e non credete a chi si spaccia per il Grande Cocomero! 😉

La mela cotogna

La mela cotogna è una mela strana, una mela che non si mangia prendendola dal ramo della pianta e passeggiando per le campagna, ma bisogna lasciarla maturare e puoi cuocerla per poterne gustare il gusto a pieno.

E’ una mela bruttarella e in una società che cerca la frutta che luccica e butta quelle con la buccia rovinata (di solito è anche la più buona), insomma dove l’apparenza supera la sostanza, è passata di moda. Ma come tutte le mode, ritornano ed è un paio di anni che è possibile trovarle anche nei supermercati (non tutti) e non solo ricercarle dai contadini che sono stati lungimiranti.

Nome scientifico: Cydonia oblunga.
Origine: albero delle rosacee di origini asiatiche. Turkestan, Iran settentrionale, Anatolia e sud del Caucaso.
Prima cultura storica: Creta, nel IV millennio a.C.
Diffusione: nel VI secolo a.C. arriva in Sicilia, nel III sec a.C. a Roma.

E da quel momento in poi non solo si diffuse per il mondo occidentale, se ne riconobbero almeno 3 varietà (divise per aspetto), ma si studiarono anche gli effetti sulla salute.

Salto tutto il periodo antico e vi catapulto nel Medioevo, se no qui salta fuori un vero e proprio trattato.

E’ innegabile i nostri avi, per quanto noi li riteniamo più ignoranti di noi perché non conoscevano i bacilli o la penicillina o il dna, avevano un occhio più attento nel valutare i cibi e la loro interazione con il corpo umano: essi non erano solo e soltanto forza per il fisico, ma erano un vero e proprio medicinale da usare con attenzione (per la cotogna si parla del suo valore astringente) e in occasioni particolari.

Convenevoli non solamente a gli ammalati, ma utili e aggradevoli anchora all’uso dei sani […] è cosa veramente maravigliosa quello che molti affermano, cioè che se le donne gravide mangiano spesse volte le mele cotogne, partoriscono li figlioli industriosi e di segnalato ingegno.” Mattioli, 1568.

Certo per noi questa visione prenatale della mela cotogna pare priva di valore scientifico, ma può essere che loro vedessero la sanità nel mangiare cotogne per le gestanti…poi da qui a dire che sviluppino la maruga ce ne vuole (maruga in dialetto parmigiano, credo, è la testa, il cervello)!

Nel Quattrocento, grazie al ricettario di Maestro Martino le ricette si sprecano: dalle minestre speziate, alle torte e pastelli. Insomma non solo conserve o mele ripiene cotte!

COTOGNATA O PASTA DI MELE COTOGNE [1]
Prenez des coigns et les pelez, puis fendez par quartiers, et ostez l’ueil et les pépins, puis les cuisiez en bon vin rouge et puis soient coulés parmi une estamine: pui prenez du miel et le faites longuement boulir et escumer, et après mettez vos coings dedans et remuez très bien, et le faites tant boulir que le miel se reviengne à moins la moitié; puis gettez dedans pouldre d’ypocras, et remuez tant qu’il soit tout froit, puis taillez par morceaulx et les gardez. [2]

Prendere delle cotogne e sbucciatele. Tagliatele poi in quarti e togliete il torsolo e i semi. Mettetele a cuocere in buon vino rosso, quindi passatele alla stamigna. Prendete del miele e fatelo bollire a lungo schiumandolo. Mettetevi dentro le cotogne, rimestate bene e fate bollire finché il miele cali di più della metà. Aggiungete poi un po’ di polvere di ippocrasso, rimestate fino a far freddare, tagliate e pezzi e consevate

Dosi per farlo ora:
2 kg cotogne molto mature
1 litro abbondante di vino rosso
1,5 kg miele
1 cucchiaino di polvere ippocrasso (= 8 gr di cannella, 8gr zenzero secco in polvere, 1 pezzetto di galanga secca o di zenzero)

Traduzione: per la stamigna usare un setaccio o un passaverdura.
Si formeranno delle “caramelle” e non una marmellata, quindi da servire su un piatto dopo averle tagliato a losanghe, su un letto di foglie di alloro fresche.
Per il normale consumo si può ricoprirle di zucchero e metterli in pirottini.

Ora vi starete chiedendo perché tutto questo sproloquio sulla mela cotogna. La risposta è semplice: colpa di una chiacchierata su fb con un ragazzo che ha sperimentato la marmellata andando un po’ a caso con le dosi e ritrovandosi una roba allappante in modo immangiabile.
Ecco una delle ricette di marmellata che si mangia a casa mia per poter partire per affrontare la mela cotogna e scoprire che no non allappa, ma anzi è dolcina e sul pane buono è una delizia.

MARMELLATA DI MELE COTOGNE [3]
Lavare e asciugare delle mele cotogne (meglio mature).
Metterle intere in una pentola con abbondante acqua (1 dito sotto alle mele) e il succo di 1 limone.
Cuocere per 1 ora (prima di spegnere provare con la forchetta che sia morbida).
Scolare, pelare e togliere torsolo e semi.
Passare la polpa al setaccio.
Pesare la polpa setacciata.
Aggiungere zucchero dello stesso peso della polpa.
Cuocere per 40′.
Versare nei barattoli.
Chiudere i barattoli e rigirarli. Aspettare 10 minuti e poi raddrizzarli. Mettere i barattoli vicini e coprirli con un panno. Aspettare che si raffreddino.

Prendere la marmellata e un coltello. Spalmarla sul pane buono e gustarvi la merenda!
La consistenza non è liquida, anzi è abbastanza solida, ecco perché potreste usare questa ricetta anche per fare le caramelle. Ma non lasciatele all’aria: potrebbero sciogliersi (vi sto scrivendo nel primo lunedì di afa estiva della pianura padana) o sparire nello stomaco dei passanti!

Come vedete le ricette antiche o moderne che siano hanno lo stesso impianto di “prendi un po’ quello” “ma quanto?” “un po’!”. Quindi quando affrontate una ricetta medievale o anche più antica, pensate che state affrontandone una scritta magari da vostra nonna e non vi sbaglierete sul “un po’” o “un uovo di farina”.

Nel caso voleste medievalizzare questa ricetta, per quanto il libro di Carnevale Schianca riporti l’accoppiata cotogne zucchero per il periodo, potete sostituire allo zucchero il miele: scegliete magari un miele dolcino ma non troppo (sulla o millefiori) e non aumentate le dosi ( miele = zucchero = polpa). Nel caso risulti poco dolce (ma non cercatela troppo dolce se no è stomachevole), riprovatela aggiungendo un po’ più di miele. Altri mieli aromatici potrebbero rovinare e virare il gusto della cotogna.
Per quanto riguarda l’aggiunta di spezie, anche qui vi consiglio di provarla prima nella versione normale e poi rifarla aggiungendo in proporzione quelle dell’ippocrasso che vi ho messo sopra. Non esagerate, fate una proporzione con il peso, visto che le spezie con il caldo e la cottura aumentano il loro sapore: devono esaltare e non coprire.

Se la provate fatemi sapere come viene!

Bibliografia
per le nozioni storiche varie “La cucina medievale” di Enrico Carnevale Schianca, ed Leo S. Olschki
[1] “A tavola nel Medioevo” di Odile Redon, F. Sabban, Silvano Serventi, edizione Laterza.
[2] trattato “Ménagier de Paris”, sempre tratto da “A tavola nel Medioevo”.
[3] ricettario della MIA mamma

Ricette di Storica : Gamberetti alla Filosseno

Intermezzo culinario, storico, senza pretese.
Premetto che questa ricetta non ha avuto da me conferme storiche, ma da quando mi sono abbonata a Storica, ho sempre visto una serie di ricette meravigliose e curiose e ho sempre voluto provarne qualcuna.

Per quello che dice l’articoletto di Storica, Filosseno di Citera (435-380 a.C) nel “Simposio” avrebbe descritto i piatti di portata del banchetto, fra cui questo, la cui ricetta è stata “ricostruita da storici della gastronomia”.

Gamberetti Glassati

ingredienti per 4 persone:
500 gr di gamberi lessati e sgusciati
30 ml di olio d’oliva
30 ml di salsa di pesce / garum / pasta di acciughe diluita
60 gr di miele
4 cucchiai di origano
sale
pepe
insalatina

Mia versione per me come piatto unico
250 gr di mazzancolle
olio di oliva qb
3/4 alici
30 gr di miele
1 cucchiaio di origano
sale
pepe
valeriana

Mettere nella padella olio, alici (salsa di pesce), miele e non appena il composto è caldo aggiungervi le mazzancolle (gamberi).
Fare saltare i gamberi delicatamente a fuoco medio-basso finché non si inteneriscono.

Togliere i gamberi quando sono pronti, scolandoli benissimo dalla salsa che deve rimanere nella padella.
Mantenerli al caldo.
Continuare a cuocere la salsa finché non si è ridotta della metà (attenti che in un attimo il miele caramellizza e rischia di bruciare).
Aggiungere anche il pepe.

Aggiungere l’origano.
Spegnere il fuoco.
Rimettere i gamberi nella padella e fare insaporire.
Spruzzare di pepe.
Impiattare con insalatina (consiglio non condita, visto che poi si mischia nella salsina dei gamberi) e pane tostato (ma se avete un pane buono appena fatto va bene anche semplice)

Mangiate con gusto. Il gusto dolcino sia delle mazzancolle che del miele viene ben stemperato sia dal pepe che dalle alici, mentre l’origano dà un retrogusto di fresco che lascia la bocca pulita.

Nella ricetta salta fuori a un certo punto, dopo l’impiattamento, un brodo di zafferano… Io non l’ho messo, visto che non capivo come usarlo per non ammosciare l’insalata. Boh…magari la prossima volta lo aggiungo.