Cosa non si fa per la cultura.

Adoro questo modo di fare pubblicità per la cultura, e nello specifico per un museo e la sua riapertura.

Cosa non darei per poter fare la stessa cosa anche in Italia, anche come una semplice spettatrice!
Ma qui bisogna che tutto passi per la burocrazia, i parrucconi e le vecchie idee; una cosa del genere come minimo vede l’intervento delle forze armate e di sconosciuti enti per i consumatori perché magari la vecchina si è spaventata oppure l’ignorante non l’ha capito.
Vabbè, non mi deprimo e mi riguardo il filmato e sogno di poter vivere in un paese civile e amante della cultura.

La cultura e il biglietto gratis

Piccolo sfogo che vale il tempo di uno sfogo e non vuol essere una lezioncina a nessuno.
Da qualche anno leggo sulle riviste di settore, sento dire dagli amici, leggo su fb, ci si chiede perché bisogna pagare un biglietto per andare a vedere un museo. Si dice che la cultura deve essere gratuita.
Magari, ma non è possibile.
Non è possibile perché noi tendiamo a confondere la possibilità di raggiungere più persone con il servizio che la cultura offre alle persone, ma a mio parere non è la stessa cosa.
Un museo deve essere fruibile e comprensibile per tutti: uomini, donne, bambini, disabili, anziani, italiani e stranieri.
Per poterlo fare ora come ora tocca ragionare in restauro dello stesso museo.
Bisogna fare teche con reperti che abbiano spiegazioni leggibili con un italiano corrente (per non parlare di spiegazioni anche in altre lingue perché a volte è chiedere troppo) o almeno con spiegazioni dei termini tecnici. Per fare questo forse ci vuole poco, magari un po’ di buona volontà, visto che molte descrizioni dei reperti risale agli anni ’70 e sono scritti a macchina su un foglio…
Per abbassare le teche e renderle fruibili a tutti bisogna rifarle e risistemare tutto l’allestimento e qui sono spese.
Rendere raggiungibili le stanze anche per chi ha problemi motori non è sempre fattibile e purtroppo a volte tocca operare un vero e proprio restauro degli edifici.
Per non parlare delle altre disabilità che a volte sono raramente superabili in Italia (per esempio per la cecità, sono pochissimi gli esempi di musei con copie di reperti che possono essere toccate).
Lasciamo perdere poi il discorso bagni e bookshop che forse è meglio aspettare l’arrivo degli alieni.
Mettendo il caso che il museo X sia già così, a posto, allora tocca calcolare altri costi come il mantenimento costante della temperatura per il mantenimento dei reperti, lo stipendio dei restauratori per il controllo dei reperti, le bollette di luce gas acqua, lo stipendio per custodi e guide.
E qui casca l’asino vero?
Quando noi vogliamo un biglietto gratis per entrare al museo non ci pensiamo che in quel museo ci lavorano delle persone che poi a loro volta devono pagare le bollette, mangiare e costruirsi un futuro vero?
Nella mente delle persone purtroppo c’è sempre quel certo egoismo che ci pone nell’ottica di pensare al proprio piccolo orticello: io voglio usufruire della cultura, io voglio andare in quel museo e non spendere, io voglio poter andare ovunque. Purtroppo non è possibile perché i musei costano e gli enti statali non hanno fondi, visto che lo Stato ha fatto dei tagli.
Possiamo discutere fino allo sfinimento dei compiti dello Stato, dei ladrocini dello Stato, delle deficienze dello Stato, ma o avete una bacchetta magica oppure tocca iniziare a ragionare in modo differente.
Se poi guardiamo la Storia non esiste Uno Stato che sia stato in grado di pensare al welfare, alla difesa, alla sicurezza e al mantenimento dei beni archeologici contemporaneamente. Mi direte che il concetto di bene archeologico è un concetto moderno e avete ragione, ma un tempo erano i privati che pensavano ai restauri delle Chiese (per propria gloria personale, ma tant’è lo facevano) o di altri edifici pubblici oppure abbellivano i loro palazzi privati (palazzi privati che col tempo sono diventati beni pubblici statali) e ci pensavano loro al mantenimento. Questo vuol dire che lo Stato centralizzato poteva (se voleva) pensare ad altro.E non è cosa superflua questo aspetto.
Ora il nostro Stato deve pensare anche a tutta questa eredità privata e non ci sta dietro. Siamo consci di questa cosa?
Abbiamo troppa roba da gestire e pochi fondi. Punto.
Possiamo dire “se”, “ma”, “se fossimo”, ma non siamo e non possiamo. Punto.
Invece di ragionare su biglietti gratis, sulle persone che fanno cultura che dovrebbero non essere pagate “perché fanno una cosa che piace a loro” (Ma che ragionamento del cavolo! Vogliamo parlare di tutti quegli archeologi che vantano dei crediti nei confronti degli enti pubblici? Vogliamo parlare di tutte quelle volte che si pretende che la guida non costi un sovrapprezzo sul biglietto, come se il suo servizio non avesse valore? Vogliamo parlare della pretesa che il rievocatore che FA didattica la debba fare gratuitamente, “perché tanto…”?), monumenti restaurati per magia, se iniziassimo a ragionare sul cosa ci aspettiamo quando paghiamo un biglietto del museo?
Prima di tutto possiamo ragionare per fasce di prezzo, ma ci perderemmo in numeri e metrature, quindi possiamo valutare che se spendi 3 euro puoi accontentarti, se ne spendi 8 euro inizi a pretendere, di più devi avere anche il tappeto rosso. Può andare come inizio?
Che cosa vuol dire questo?
Che non dobbiamo pensare che tutti i musei siano uguali, che tutti i reperti siano uguali, che la mole di reperti non influenzi il suo mantenimento, che l’impostazione di essi sia per tutti standard.
Se un museo come il Louvre che per vederlo tutto ci vuole una vita, il prezzo del biglietto ti costa (guardando su internet) sugli 11 euro, i musei vaticani più la cappella Sistina sui 16 euro, tanto per dire alcuni fra i più importanti, questi prezzi li riteniamo assolutamente abbordabili e ottimi per la quantità di reperti e per la qualità degli stessi.
Se invece lo stesso prezzo o quasi lo paghiamo per due cose in croce, allora è giusto lamentarsi.
Qui casca l’asino (e due!)!
Basta  confondere le cose, i musei, i servizi, le possibilità!
Dare un valore ai musei non è peccato; sapere che i propri soldi sono ben spesi non è peccato; pretendere che ai nostri soldi dati per un biglietto equivalga un servizio dello stesso valore non è peccato.
La cultura costa e purtroppo se continuiamo a pretendere che non costi essa chiuderà per mancanza di liquidità!
Pretendiamo servizi decenti e aggiornati.
Pretendiamo che ci siano riduzioni per chi le deve avere (scolaresche, minorenni, pensionati, ma anche chi con un vero 740 non arriva a fine mese ma vuole imparare) e non così a pioggia.
Dobbiamo rassegnarci a fare delle scelte e fare dei sacrifici per poter usufruire di una cosa, perché non possiamo avere tutto (e qui secondo me siamo vittime del consumismo più sfrenato che ci ha fatto credere che dobbiamo avere tutto) e soprattutto dobbiamo, ognuno con le proprie possibilità, diventare finanziatori e sostenitori presenti e attivi della cultura, pretendendo per quello che si da.
Basta essere passivi fruitori con servitori a seguito, ma essere attivi “miles” culturali che vedono come proprio  quello che ci circonda e fare come il buon padre di famiglia.
Io stessa, per quanto abbia una buona famiglia che mi sostenga anche in questa mia follia di fare la rievocatrice, faccio sacrifici per poter usufruire della cultura. Un esempio? Se so che andrò per un museo (dove potrei anche rischiare di prendere qualche catalogo), non esco a cena con gli amici, ma li raggiungo dopo per fare quattro chiacchiere. Oppure invece di andare al cinema una volta di troppo per film così, aspetto di prenderli in videoteca. Sono esempi del cavolo, lo so, ma mica faccio rivoluzioni mondiali io, faccio il mio piccolo!
Le giornate o settimane della cultura non sono un male, anzi sono una possibilità per tantissime persone e per tantissime occasioni, quindi è una vergogna che quest anno siano state eliminate, ma purtroppo non possono essere un sempre.
Quando andiamo nei musei guardiamoci attorno e guardiamo cose, facce, persone e situazioni e mettiamoci nei loro panni e chiediamoci se potremmo vivere con le pretese che noi abbiamo su di loro.
A volte mettersi nei panni degli altri aiuta a capire qualcosa.
Basta, vi ho già ammorbato troppo con il mio sfogo.
Uno sfogo che è solo la mia verità e non LA verità.

Palermo in rosa e in nero

Sono appena tornata da Palermo per una 4 giorni di ferie turistiche scarpinanti su e giù per le vie del centro e alla fine me ne sono tornata a casa un po’ confusa.
La scelta del titolo del post è dovuto all’omaggio dei colori della squadra di calcio della città, ma anche per spunto per raccontarla dal punto di vista del turismo.
Di rosa c’è sicuramente il clima: partita da Milano con pioggia e umido e freddo, si arriva con il sole (anche se poi ci ha regalato 2 gocce di pioggia) e con un clima mite e con aria fresca.
Di nero c’è lo smog.
Aeroporto di Linate: partenza!
 
Chiesa di San Giuseppe dei Teatini
Fontana Pretoria.
 
Di rosa c’è il cibo: abbondante da dover scarpinare tutto il giorno per non ingrassare, pesce buonissimo (e detto da una che non riesce a mangiare il pesce cotto, ma solo quello crudo per una strana intolleranza alimentare), presente ovunque e dovunque.
[Non essendo una food blogger, non mi è venuto mai in mente di fotografare i miei piatti: ha sempre vinto prima lo stomaco sull’occhio.]
Di nero c’è il traffico.
Di rosa c’è la natura delle palme, dei giardini, delle piante grasse che rallegrano palazzi, finestre e angoli di vie.
stradina laterale dalle parti di Palazzo dei Normanni.
Sulla destra della scala c’è un ottimo ristorantino dove ho mangiato un ottimo piatto di pasta con gamberoni, zucchine e pomodorini. Che buoni i gamberoni…
 
 via Roma: ci hanno spiegato che è una delle vie più importanti e belle e in effetti è molto curata e ben tenuta. Dalla cartina sembra che possa essere un antico decumano romano.
 
 palazzo di fronte alla Cattedrale in via Vittorio Emanuele
 
giardino di Villa Bonanno, vicino a palazzo dei Normanni: è in restauro o mantenimento e quindi non siamo riusciti a capire dove fosse possibile vedere i resti di una villa romana. Persa.
Di nero c’è l’abbandono totale e disarmante di palazzi meravigliosi, di vie sporche, di pozze d’acqua provenienti da tubature nascoste rotte, di rovine di palazzi di cui non si capisce nemmeno di che epoca fossero.
 palazzo privato in via Alloro
 
via Vittorio Emanuele, forse l’antico cardo romano, via del centro molto importante, ma non ben tenuta. Peccato.
 
palazzo sconosciuto dalle parti di Porta Nuova a fianco del complesso del Palazzo dei Normanni: restaurato a metà.

Di rosa c’è il tentativo di riprendere il “possesso” della propria bellezza cittadina e tenere pulite le strade e ricostruire i palazzi, adibire i palazzi antichi a musei e conservarli.

Palazzo del museo archeologico Salinas, facciata su via Roma: chiuso per restauro dal 2011.
 
 Galleria regionale nel Palazzo Abatellis in via Alloro 4: aperto e ben restaurato.
 
Palazzo privato di via Alloro.
 

Di rosa ha angoli meravigliosi, con piccole sorprese fatte da persone o situazioni che ti fanno capire che la vita va avanti.

 una natività nel portone di un cortile interno di un palazzo
 
 un artigiano di burattini
 
un carretto pieno di carciofi! Oh, come lo avrei assaltato volentieri!
Peccato che non li abbia mai trovati nei menù. 
Museo delle Marionette, in via Pasqualino.
Bello poterlo confrontare con quello di Parma: pezzi totalmente diversi, ma spazi poco usati e dispersivi. Avrei preferito avere un po’ più di teche per poter vedere ulteriori pezzi.
Di nero c’è che non esistono orari certi per vedere i musei o le chiese; ci sono musei chiusi da almeno due anni per restauro e le collezioni sono sparse per la città (cosa non agevole per un turista); non ci sono indicazioni per vedere reperti archeologici, pittori o altro e se non hai una cartina o guida ben documentate non puoi andare alla ricerca.
Chiesa di San Francesco.
La foto è fatta da una bifora che divide la chiesa e la biblioteca Francescana annessa. Mentre ho fatto la foto ho potuto vedere che ci girava gente dentro, ma quando siamo andate a visitarla era chiusa, murata, inaccessibile. Persa.
Di fronte c’è l’Antica Focacceria di San Francesco chiusa per cambio di gestione.

Quello che mi è venuto da dire, anche parlando con le stagiste del museo diocesano (poco visitato perché poco conosciuto e sponsorizzato) oppure i ragazzi del liceo che facevano i volontari per la giornata del FAI (bravissimi e molto motivati), è che Palermo non è una città per turisti, ma purtroppo è una città normale che vive su allori meravigliosi dati da una storia millenaria e multietnica (cosa che si vede tutt’ora nei monumenti e nella gente che cammina per le strade), ma che si comporta (e queste sono parole di mia mamma che era con me a in gita) “come una bella donna aristocratica che fidandosi della sua bellezza non l’ha curata ed ora è in totale disarmo”.

Questa cosa è per me, ma credo anche per altri, assolutamente triste e demoralizzante.
Per chi un po’ mi conosce sa che non amo le città turistiche, anzi mi sento come un criceto in una palla da far girare e spennare; amo le città che mantengono la propria identità unica e irripetibile, ma che si possano girare senza che qualcuno mi faccia capire che non è il caso che si passi da una zona o l’altra, ma senza dover essere rimpallata da un edificio all’altro per cercare un qualcosa di culturale che poi non si trova oppure dover fare le corse perché forse fra 2 minuti in modo incomprensibile quella chiesa potrebbe essere chiusa.
Sì lo so, mi rendo conto che forse chiedo troppo eppure ho visitato altre città che mi hanno dato questa sensazione e mi chiedo sempre se siano degli unicum, delle normalità oppure… Anni fa sono stata a Catania e ricordavo una città ospitale, facile da girare, pulita (malgrado la cenere) e accogliente, tanto per fare un esempio siciliano.
“Bottino di guerra”: fra libri (tanti), cartoline, borse, magliette e magneti.
E per fortuna per il mio portafoglio (e quello dei miei genitori soprattutto) che avevo solo il bagaglio a mano, ma se avessi portato un paio di magliette in meno avrei potuto prendere un libro in più.
 
Torno da Palermo confusa, lo ammetto.
Ho visto tante cose, ma sono convinta che tante altre me le sono perse per manifesta “sparizione” delle stesse; ho visto persone, ma poche si sono lasciate conoscere (non è un’accusa, ma un dispiacere, anche se posso capire che la città possa essere di carattere chiusa) anche se gentilissimi tutti; mi aspettavo di essere stordita da tanta bellezza e invece sono rimasta disillusa dalla realtà.
Palermo è una città da rivedere, fra qualche anno, per sperare che certi semi che ho visto possano aver portato frutto e aver reso onore alla sua Storia passata, ma soprattutto per quella futura.

Una casa per i Longobardi

L’Italia è piena di storia e di reperti.
Se provate a scavare una buca profonda nel vostro giardino di casa, per piantare un alberello, sono certa che qualcosa trovate. Magari non la riconoscete, ma qualcosa c’è.

Proprio per questo motivo nei tempi passati, o anche nei secoli scorsi quando i regni erano vari ed eventuali, quando si iniziavano gli scavi i reperti non rimanevano nel luogo di origine, ma venivano portati più vicini al mecenate di turno (papa o re che fosse). Certo questo discorso non è valido al 100%, ma purtroppo ha avuto un’incidenza rilevante e che in certi casi ha creato impossibilità di lettura storica precisa. Quindi il lavoro dello storico non sempre poté essere preciso nella ricostruzione storica…
In più nei secoli passati gli scavi, finanziati da ricchi e potenti mecenati, venivano indirizzati verso certi periodi storici piuttosto che altri. La storia romana ha avuto il suo podio e la medaglia d’oro; il rinascimento quella d’argento; il medioevo ha incontrato il romanticismo, come i celti (e ammetto che non ne sono usciti vincitori da quest’incontro). Il resto ombra o quasi…

Nel buio più profondo sono scivolati i Longobardi che nella nostra storia patria, secondo i libri di testo, sono un puro incidente, dei cattivoni che si oppongono ai Franchi, degli sconfitti da compatire (vedi Manzoni; compatire nella sua origine etimologica).
Da qualche anno stanno uscendo dal loro limbo storico grazie alla passione di storici, archeologi e anche semplici appassionati, rievocatori oppure no.
Ecco che nella ricerca è sorto un problema (che a mio parere colpisce tutta l’Italia): perché alcuni reperti longobardi si trovano all’Eur, Roma, con tanto di indicazioni che provengono da Ascoli Piceno, mentre nella città d’origine non possono stare?
Quindi è nato un movimento che richiede che i reperti ritornino nella loro sede naturale.

Ora la giusta obiezione che si può fare (e che ho fatto io stessa) è: voi li rivolete per toglierli ad altri e metterli in un magazzino oppure perché avete già pronto tutto per dare loro maggior visibilità, magari anche con un museo concepito in modo moderno? Per chi può leggere facebook, qui potete leggere una risposta, ma in soldoni è: abbiamo un museo pronto per loro, al Forte Malatesta di Ascoli Piceno da poco restaurato.

A mio parere sarebbe sempre preferibile che i reperti potessero stare nel luogo di origine per varie ragioni:
maggior comprensione della vicenda singola in base al legame storico-geografico;
maggior comprensione della vicenda complessiva del territorio;
maggior sviluppo turistico di alcune zone anche limitrofe, non accentrando tutto in zone già affollate di turismo.

Quindi andatevi a leggere il “manifesto” della petizione de “Riportiamo a casa il tesoro dei Longobardi” e nel caso siate d’accordo con la loro filosofia, firmate la petizione.

Sempre su fb potete osservare alcune foto del museo all’Eur dove sono riposti i reperti longobardi. Ringrazio Cristiano da Mont’Olmo per aver reso pubbliche le foto e aver divulgato la petizione e il problema annesso.

Castel del Monte

Altro post su un museo, prima di ripartire a nuova vita con questo blog di storia e affini.

Ora, è meglio precisare che il monumento che tutti devono prima o poi affrontare non è un museo vero e proprio. Anzi. Sarebbe di per sè bastevole per essere visitato e rivisitato per ore e ore, ma tant’è che a volte c’è bisogno di dare nuova linfa e lustro e allora ci si impianta una bella mostra contemporanea.
Come ho già detto non sono contraria alle commistioni fra tempi e luogi diversi, ma ci deve essere rispetto del monumento ospite e del visitatore.
E qui io non l’ho trovato.
E la cosa mi ha alquanto irritata.

Speravo di rivedere Castel del Monte con spirito nuovo.
Lo vidi per la prima volta quasi 10 anni fa. Ero all’inizio della mia esperienza rievocativa. Ero piena di dubbi, speranze, incertezze, eppure riuscii a litigare con una guida.
“Sopra la vostra testa potete vedere una faccia barbuta. E’ il Bafometto, il simbolo dei templari” disse la giovane, ingenua e stolta guida, pronta ad affascinare un pubblico ignorante. E io stizzita risposi a voce alta ” Eh, no! Non si può!” Ma divenni rossa dall’imbarazzo e non continuai a martoriare una guida che andava rimessa al suo posto.

Ora ero pronta, agguerrita e con una sfacciataggine che mai avrei pensato di poter avere.

Ma Castel del Monte era cambiato…

Non più obbligo di guida. Beh, questo era un bel passo avanti. Si può guardare il monumento con calma, soffermarsi sui particolari, osservare il paesaggio spazzato dal vento. E non ascoltare buffonate alla Voyager.

Installazioni con una vaga storia di Federico II (lo Stupor Mundi) e il suo impero. Non mi sono soffermata a leggerlo. Sicuramente ne so più io di lui che quei quattro pannelli multilingue che non attirano nessuno (ma chi l’ha progettati? Un topo di biblioteca? Commentavamo io e la mia Sorella d’Arme Elfa che non erano minimamente invoglianti, anche se avevano delle belle immagini del Codice Manesse).

Ma la sorpresa ci avrebbe messo di malumore. La mostra su de Chirico.
Detta così mica era un problema. Anzi nell’entrate una sua scultura ci stava benissimo.

Si vede in un angolo a sinistra, ma in realtà occupa il centro.
Mica male l’ “Ettore e Andromaca”.
Le sedie sono comode, ma brutte. Tanto brutte.

Ma i pannelli per sostenere i dipinti rendevano inagibile la visione di quasi tutto il piano terra.
Non è ammissibile!
Io sono costretta a pagare un biglietto per la mostra e il monumento e non posso fruire solo a metà di uno!
E’ un mio diritto!
Peccato che non ci fosse il libro delle visite, se no l’avrei fatto presente.

Lasciamo (ah, il plurale è dovuto al fatto che questa visita è un “Mansio on tour”. La rievocazione a Trani ci ha lasciati liberi di visitare almeno 2 monumenti interessantissimi) velocemente il piano terra e ci avventuriamo per il primo piano.

E siamo rapiti dalle possibili magnificienze del luogo; dai dubbi che le scelte stilistiche evocano; dal movimento delle sale. Nemmeno noi troviamo, a noi stessi, una risposta credibile sul perchè esiste questo castello in una piana battuta dal vento (abbiamo assistito al passaggio di un temporale sulla piana. Ci ha proprio aggirati, senza veramente prenderci…Strano movimento del vento) con attorno il nulla.

Altra nota dolente. Sono chiusi gli accessi per le torrette dove si allevavano gli amati falchi. Ma…Insomma!
Li ricordo come una cosa rara e magnifica. Unica nel suo genere (almeno io non ne ho viste altre in questi 10 anni di giri per castelli). Federico II e i falchi sono un binomio inscindibile e da valorizzare nel momento in cui si hanno dei manufatti che ricordano quest’amore. Mi chiedo anzi perchè non ci sono libri sull’argomento nel bookshop…
Non abbiamo avuto il coraggio di chiedere. Anche perchè non c’era nessuno a cui chiedere.
Nemmeno quando siamo usciti.
Ennesima nota dolente: non ho potuto comprare un libro che avevo puntato all’inizio. Potevo prenderlo subito, ma non mi va di andare in giro con un pacchetto. E poi il costo era notevole e volevo pensarci. La visita mi avrebbe schiarito le idee. E invece no!
Ok che siamo arrivati al limite della chiusura, ma se un turista ti chiede di comprare un libro che ha visto quando è entrato, tu non puoi limitarti a chiudere la faccenda con un “Ma abbiamo già chiuso il bookshop!” Cos’è ti fanno schifo i miei soldi? In qualsiasi altra parte (dove i soldi servono davvero per sopravvivere come ente) ti avrebbero squartato le scatole chiuse per trovare il libro e avere i tuoi soldi.
Ma siamo in Italia…campa cavallo che l’erba cresce…
Sì sono rimasta delusa dalla visita o meglio dalla gestione del monumento.
E’ dozzinale e irrispettoso del turista che cerca di capire.
E’ pressapochista (quello striscione della mostra sulla scalinata d’ingresso era francamente inguardabile).
Mansio on tour
Castel del Monte
agosto 2011
(e lo striscione della mostra alle nostre spalle)

Mi rinfranca vedere, però, che lo stato conservativo è ottimo e attento, sia per quanto riguarda la vegetazione che la muratura.
Diciamo che per fortuna Castel del Monte si sa proteggere dagli uomini.

Alla fine cosa passasse per la mente all’imperatore che regnava dalla Germania alla Sicilia è un bel mistero, anche se sicuramente con questo castello egli ha voluto affermare tutto il suo potere.
Castel del Monte è come una maestosa corona che si affaccia sulla Puglia, che si lascia illuminare dal sole e giganteggia sulla terra bruciata.

E questa è l’ultima immagine che mi è rimasta nella memoria, lasciandocelo alle spalle.
Ed è Stupor Mundi.

Museo di Monterenzio (Bologna)

Ecco un’altra recensione su un museo.
Perchè ogni buon rievocatore deve sempre trovare il modo per visitarne uno, soprattutto se si è accampato nel suo giardino.

Settimana scorsa ero a Monterenzio per la manifestazione ” I fuochi di Taranis”, con l’Emporium del Vicus Italicus.
Strano per me stare dietro a un bancone per fare il mercante: non sono fatta per vendere. Anzi molto probabilmente o morirò povera e i miei manufatti in un cassone oppure qualcun’altro si arricchirà alle mie spalle. Vabbè, lasciamo stare.
Comunque a Monterenzio toccava esserci perchè quando gli amici chiamano non è possibile riespondere di no!
Così mi sono riposata un poco, girando e rigirando le tavolette, chiaccherando con amici e sconosciuti e passando da un caldo tremendo al dì al freddo più gelido che mai mi ricordassi alla notte (scema io che non mi sono portata dietro le mie coperte e solo una pelle di pecora!). Manco fossi ad Hattin…

Nel non fare nulla io e Cinzia abbiamo pensato di andare a vedere il mercatino e dove vendessero le orecchie da elfo che tanto stavano spopolando nella festa (con sommo distrubo psico-fisico nostro), ma alla vista di una porta aperta del museo, beh…insomma…non si poteva non entrare! E poi costava un euro!
A saperlo saremmo andate a vederlo alla sera, unendo utile e dilettevole (magari ci scaldavamo anche).

E devo ammetterlo ai nostri occhi si è aperta una meraviglia…
Mentre l’entrata è semplice, dominata da un bel bianco, il museo vero e proprio si illumina grazie a una struttura moderna e un soffitto a vetri che esalta tutta la sala. Inizio ad apprezzare sempre di più questa commistione fra nuovo (edificio) e antico (reperti).

Una struttura limpida, luminosa, solare (certo, magari d’inverno e con la pioggia rende di meno), che esalta al massimo la ricostruzione di una capanna celta, attorno alla quale si dipanano tutte le teche e anche la ricostruzione.

Teche di varie altezze, ma la maggior parte basse ben fruibili da bambini, ma anche da portatori di handicap.
Proprio in questo aspetto il museo vince enormenente quando ci siamo accorte che alcune didascalie erano scritte normalmente ma anche in braille.
Ora qualche stolto potrà dire “come fa un cieco a vedere un museo?”. Un museo vecchio stampo non lo vedrà mai, ma questo che ha riproduzioni di reperti che possono essere toccate e “usate” dai visitatori, lo può vedere benissimo.
E ciò è stupendo. Entusiasmante.

Guardate come è facile fondere antico e moderno, mentre i due soffitti sembrano come intrecciarsi. Sono rimasta veramente stupita.

La capanna celta poi unisce reperti del museo, quasi avvicinabili, e ricostruzioni (tipo il telaio, il tavolo per mangiare). Anche questa scelta risulta ottimale per la maggior comprensione del visitatore. Perchè non bastano cartelloni,  per altro molto specifici, ma non tecnici e incomprensibili; non bastano disegni e ricostruzioni bidimensionali; non bastano nemmeno legende chiare (beh almeno qui i numeri corrispondono ai reperti); serve qualcosa in più, serve dare l’idea della veridicità della vita passata. E qui ci sono riusciti.
Questo piccolo museo (una sola stanza anche se molto grande), nato dalle scoperte di un abitato celta-etrusco dal V al III secolo a.C., è stato una vera rivelazione.
Ah, dimenticavo. Non so se era per “colpa” della festa, ma al di fuori del museo negli allestimenti di un piccolo villaggio si svolgevano i laboratori per bambini e i rievocatori facevano didattica, allestendo con le loro riproduzioni.
Valutazione:
servizi di base: 7 1/2 .  Potrebbero emplementare il bancone dei “ricordini”, ma il fatto che abbiano le cartoline me li fa ben volere ancora. E manca un punto ristoro. Ma le signore al bancone sono cordiali e decise (non si usa il bagno del museo per i propri comodi…).
servizi auspicabili: 7. Non ho visto le condizioni dei bagni, e il banco libri potrebbe essere ampliato, ma forse era colpa del banchetto fuori messo per attrarre i visitatori della festa.
servizi specialistici: 8 1/2. Certo mancavano le audioguide; di certo si possono ampliare i modi di fruirlo, ma credetemi qui ci si è dati davvero da fare.
Andate a vederlo!
Ve lo consiglio.

Ho una lotta tutta mia…

…e la devo vincere.

Questa lotta riguarda la possibilità di fare foto, a uso scientifico e personale, in musei, mostre, siti archeologici.
Adesso tutti voi mi direte “Non si può!”, ma vi siete mai chiesti perchè?
Beh, sicuramente uno dei motivi è che le persone non capiscono e usano il flash, il quale risulta dannoso (non il vostro singolo, ma tutti quelli messi insieme!) per il reperto. E gli altri?
Un altro potrebbe essere che lo Stato ne deteniene i diritti. Bene, allora sarebbe illegale fare foto ai monumenti anche fuori da essi in una zona di neutralità (prima del portone, sulla strada, dalla finestra del vicino…), cosa che invece non è.
In più nei musei, nella maggior parte di essi, non esistono cartoline o piccole dispense su singoli reperti, ma, quando va bene, volumoni fumosi, polverosi e spesso senza immagini, dal costo proibitivo. Non parliamo poi di quei musei (vedi alla voce “Museo Archeologico di Parma”), che non ha nemmeno uno stralcio di foglio divulgativo…

Eppure, a onor del vero, proprio quest’ultimo permette di fotografare i reperti, dopo aver sottoscritto un foglio in cui si dichiara che le foto serviranno per scopi senza lucro e di ricerca (dovrei vederlo, me ne hanno parlato. Ma conosco i reperti del museo da secoli: sono gli stessi da quando sono bambina. Mi riprometto di prenderne visione). Ora questo vuol dire che una qualche legge c’è…

E se il Museo (metto foto sotto, per vedere in quanti lo riconoscono), in totale restauro e riammodernamento si dimentica di posizionare i divieti di fare fotografie, che cosa succede?
E’ vero che la legge non ammette ignoranza, ma qui uno può giocare sul filo delle regole.

Ora so esattamente che la rivista “Archeologia Viva” si è occupata della faccenda qualche tempo fa. Dovrò vedere come e dove recuperare i numeri in questione.
Comuque sia, siete tutti allertati: la mia battaglia contro l’oblio dei reperti ha ora inizio! Tremate musei e custodi!!! Voglio i vostri reperti da studiare e i vostri cortili per le mie belle foto da rievocazione!!

Museo di Attimis, Udine. Marzo 2011

Finalmente il tanto famigerato museo di Attimis, dove lavora Maria dei Grifoni si è palesato a me!
Durante un 3 giorni di ferie e di cultura, sono riuscita a mettere in mezzo anche questa visita. Logicamente guida personale e del luogo…

Il museo è una piccola struttura moderna in un paesino in provincia di Udine. Ha una visuale stupenda sulle montagne ed è circondato dalla natura, anche se la civiltà si espande (da dove è scattata questa foto ci sono una serie di villette a schiera di ultima generazione che fanno capire come Attimis si stia allargando).
Il museo raccoglie i pezzi ritrovati durante gli scavi nelle rovine dei castelli del circondario.
Purtroppo le rovine lo sono da tempo immemore quindi non è che ci sia tantissimo. E soprattutto anche qui c’è il famoso buco nero del magazzino, dove moltissimi reperti trovano la sua sistemazione. Perchè questi magazzini italiani sono così affamati di reperti archeologici? Bha, ne parleremo poi…
L’accoglienza, per un medievalista, è delle migliori:

Un mosaico moderno fatto molto bene cerca di farti calare nell’atmosfera del periodo da vedere.
Mentre facevo la mia personale visita, vi era una scolaresca intenta alla giornata al museo. Deo Gratias! Anche nel posto più sperduto del mondo si capisce che gli oggetti non sono morte e morti, ma raccontano storie e lavori (per quello che ho potuto sentire, spigavano ai bambini cos’è l’archeologia. Magari qualcuno di loro rimarrà impressionato).

Fra i molti pezzi, quello che colpisce è questa madonnina con Bambino acefala, grande quando un indice. Ed è nel mio periodo!
Faccio l’esaltata perchè ho notato che nelle mie ferie fra Udine e Trieste il Medioevo inizia dal 1300…difficile trovare reperti appena prima.

Una scheda tecnica del museo.
Ha ragione Maria, molte cose vanno sistemate, prima fra tutte la galleria dell’horror. Una sala diorama con state di cera che si squagliano: il cavaliere con un tumore al collo, il suo signore con l’artrite alle mani deformi, il bambino dal volto girato perchè è meglio, la dama con spuncioni di ferro che le escono dappertutto. Vi prego abbatteteli. Per il bene di tutti. Soprattutto per quei poveri bambini che vanno al museo e non devono essere traumatizzati. Posso anche soprassedere sulla filogicità di abiti e armamenti, ma sul fattore paura no.
Andrebbe anche risistemata l’armatura del 1300 montata a pezzi su un manichino e sospesa nel vuoto. Perchè?

Inquietante vero?
La cosa meravigliosa è la luce che entra da tutti i lati nel museo. Evviva! Niente senso di chiusura, di arcaismo, di vecchiume! Sicuramente sono andata in una giornata splendida, ma almeno ci hanno tentato di rendere la cosa meno opprimente.
Non ho visto se i servizi essenziali sono presenti e in quale modo, ma posso dire che le cartoline ci sono e anche un minimo di paccottiglia, anche se c’entra zero con quello che si vede nel museo.
Aumentate i libri e le pubblicazioni!
Maria ha un sacco di idee e sono sicura che mancheranno i fondi, ma almeno c’è tutta la voglia di rendere un servizio almeno accettabile (dal punto di vista di un rievocatore/archeologo) e sono convinta che ce la può fare. Se poi, invece dello Stato, daranno una mano i Grifoni Rantolanti, beh metto tutto il mio impegno per dare loro risalto.


Campagna promozionale: Valuta il tuo Museo!

Iniziamo tutti insieme una campagna promozionale che debba servire come curiosità (?) per tutti coloro che ci governano. No, lasciate perdere bandiere di parte e partito, slogan e altre cose simili. Non mettetevi nemmeno intesta di fare sfilate, magari portandovi da casa i san pietrini.
La cosa è molto più semplice.
Nell’articolo di Archeo di Marzo “Missione possibile”, sulla situazione greca, c’è una catalogazione di merito dei musei, valutando i servizi offerti.
Al primo scalino: servizi di base. Imprescindibili. E sono depliant informativi, toilettes (aggiungerei io funzionanti e pulite), parcheggio, bar o distributore dell’acqua automatico di acqua.
Al secondo scalino: i servizi auspicabili. Offrono maggior agio. Sono WC per disabili (bhe in un mondo civile dovrebbero essere nella sezione di base), pannelli esplicativi bilingue, guida o catalogo, punto vendita per libri (ma anche questi non sarebbero di base?).
Al terzo livello: i servizi specialistici. Presenza Eventuale. Sistemi di audio-guida, programmi educativi per bambini, sistema meccanizzato di emissione, percorsi tattili, etc. Vabbè, qui siamo alla fantascienza.

Ora la campagna prevede che i fruitori dei musei lasciassero uno scritto, uscendo dal museo, con la valutazione usando la scala sopra scritta. Magari aggiungendovi anche un commento caustico se serve (mica c’è scritto che il turista debba essere per forza simpatico…Educato sempre e comunque, simpatico no). Se non esiste un libro delle note, lasciate un post it in un punto visibile e che non rovini nulla (su una statua o un quadro non vi farebbe guadagnare punti).
Insomma, come al solito, fatevi sentire. E ricordatevi che scripta manent verba volant. Quindi scrivete gente, scrivete!