Adoro questo modo di fare pubblicità per la cultura, e nello specifico per un museo e la sua riapertura.
Adoro questo modo di fare pubblicità per la cultura, e nello specifico per un museo e la sua riapertura.
Di rosa c’è il tentativo di riprendere il “possesso” della propria bellezza cittadina e tenere pulite le strade e ricostruire i palazzi, adibire i palazzi antichi a musei e conservarli.
Di rosa ha angoli meravigliosi, con piccole sorprese fatte da persone o situazioni che ti fanno capire che la vita va avanti.
Quello che mi è venuto da dire, anche parlando con le stagiste del museo diocesano (poco visitato perché poco conosciuto e sponsorizzato) oppure i ragazzi del liceo che facevano i volontari per la giornata del FAI (bravissimi e molto motivati), è che Palermo non è una città per turisti, ma purtroppo è una città normale che vive su allori meravigliosi dati da una storia millenaria e multietnica (cosa che si vede tutt’ora nei monumenti e nella gente che cammina per le strade), ma che si comporta (e queste sono parole di mia mamma che era con me a in gita) “come una bella donna aristocratica che fidandosi della sua bellezza non l’ha curata ed ora è in totale disarmo”.
L’Italia è piena di storia e di reperti.
Se provate a scavare una buca profonda nel vostro giardino di casa, per piantare un alberello, sono certa che qualcosa trovate. Magari non la riconoscete, ma qualcosa c’è.
Proprio per questo motivo nei tempi passati, o anche nei secoli scorsi quando i regni erano vari ed eventuali, quando si iniziavano gli scavi i reperti non rimanevano nel luogo di origine, ma venivano portati più vicini al mecenate di turno (papa o re che fosse). Certo questo discorso non è valido al 100%, ma purtroppo ha avuto un’incidenza rilevante e che in certi casi ha creato impossibilità di lettura storica precisa. Quindi il lavoro dello storico non sempre poté essere preciso nella ricostruzione storica…
In più nei secoli passati gli scavi, finanziati da ricchi e potenti mecenati, venivano indirizzati verso certi periodi storici piuttosto che altri. La storia romana ha avuto il suo podio e la medaglia d’oro; il rinascimento quella d’argento; il medioevo ha incontrato il romanticismo, come i celti (e ammetto che non ne sono usciti vincitori da quest’incontro). Il resto ombra o quasi…
Nel buio più profondo sono scivolati i Longobardi che nella nostra storia patria, secondo i libri di testo, sono un puro incidente, dei cattivoni che si oppongono ai Franchi, degli sconfitti da compatire (vedi Manzoni; compatire nella sua origine etimologica).
Da qualche anno stanno uscendo dal loro limbo storico grazie alla passione di storici, archeologi e anche semplici appassionati, rievocatori oppure no.
Ecco che nella ricerca è sorto un problema (che a mio parere colpisce tutta l’Italia): perché alcuni reperti longobardi si trovano all’Eur, Roma, con tanto di indicazioni che provengono da Ascoli Piceno, mentre nella città d’origine non possono stare?
Quindi è nato un movimento che richiede che i reperti ritornino nella loro sede naturale.
Ora la giusta obiezione che si può fare (e che ho fatto io stessa) è: voi li rivolete per toglierli ad altri e metterli in un magazzino oppure perché avete già pronto tutto per dare loro maggior visibilità, magari anche con un museo concepito in modo moderno? Per chi può leggere facebook, qui potete leggere una risposta, ma in soldoni è: abbiamo un museo pronto per loro, al Forte Malatesta di Ascoli Piceno da poco restaurato.
A mio parere sarebbe sempre preferibile che i reperti potessero stare nel luogo di origine per varie ragioni:
maggior comprensione della vicenda singola in base al legame storico-geografico;
maggior comprensione della vicenda complessiva del territorio;
maggior sviluppo turistico di alcune zone anche limitrofe, non accentrando tutto in zone già affollate di turismo.
Quindi andatevi a leggere il “manifesto” della petizione de “Riportiamo a casa il tesoro dei Longobardi” e nel caso siate d’accordo con la loro filosofia, firmate la petizione.
Sempre su fb potete osservare alcune foto del museo all’Eur dove sono riposti i reperti longobardi. Ringrazio Cristiano da Mont’Olmo per aver reso pubbliche le foto e aver divulgato la petizione e il problema annesso.
Altro post su un museo, prima di ripartire a nuova vita con questo blog di storia e affini.
Ora, è meglio precisare che il monumento che tutti devono prima o poi affrontare non è un museo vero e proprio. Anzi. Sarebbe di per sè bastevole per essere visitato e rivisitato per ore e ore, ma tant’è che a volte c’è bisogno di dare nuova linfa e lustro e allora ci si impianta una bella mostra contemporanea.
Come ho già detto non sono contraria alle commistioni fra tempi e luogi diversi, ma ci deve essere rispetto del monumento ospite e del visitatore.
E qui io non l’ho trovato.
E la cosa mi ha alquanto irritata.
Speravo di rivedere Castel del Monte con spirito nuovo.
Lo vidi per la prima volta quasi 10 anni fa. Ero all’inizio della mia esperienza rievocativa. Ero piena di dubbi, speranze, incertezze, eppure riuscii a litigare con una guida.
“Sopra la vostra testa potete vedere una faccia barbuta. E’ il Bafometto, il simbolo dei templari” disse la giovane, ingenua e stolta guida, pronta ad affascinare un pubblico ignorante. E io stizzita risposi a voce alta ” Eh, no! Non si può!” Ma divenni rossa dall’imbarazzo e non continuai a martoriare una guida che andava rimessa al suo posto.
Ora ero pronta, agguerrita e con una sfacciataggine che mai avrei pensato di poter avere.
Ma Castel del Monte era cambiato…
Non più obbligo di guida. Beh, questo era un bel passo avanti. Si può guardare il monumento con calma, soffermarsi sui particolari, osservare il paesaggio spazzato dal vento. E non ascoltare buffonate alla Voyager.
Installazioni con una vaga storia di Federico II (lo Stupor Mundi) e il suo impero. Non mi sono soffermata a leggerlo. Sicuramente ne so più io di lui che quei quattro pannelli multilingue che non attirano nessuno (ma chi l’ha progettati? Un topo di biblioteca? Commentavamo io e la mia Sorella d’Arme Elfa che non erano minimamente invoglianti, anche se avevano delle belle immagini del Codice Manesse).
Ma la sorpresa ci avrebbe messo di malumore. La mostra su de Chirico.
Detta così mica era un problema. Anzi nell’entrate una sua scultura ci stava benissimo.
Ma i pannelli per sostenere i dipinti rendevano inagibile la visione di quasi tutto il piano terra.
Non è ammissibile!
Io sono costretta a pagare un biglietto per la mostra e il monumento e non posso fruire solo a metà di uno!
E’ un mio diritto!
Peccato che non ci fosse il libro delle visite, se no l’avrei fatto presente.
Lasciamo (ah, il plurale è dovuto al fatto che questa visita è un “Mansio on tour”. La rievocazione a Trani ci ha lasciati liberi di visitare almeno 2 monumenti interessantissimi) velocemente il piano terra e ci avventuriamo per il primo piano.
E siamo rapiti dalle possibili magnificienze del luogo; dai dubbi che le scelte stilistiche evocano; dal movimento delle sale. Nemmeno noi troviamo, a noi stessi, una risposta credibile sul perchè esiste questo castello in una piana battuta dal vento (abbiamo assistito al passaggio di un temporale sulla piana. Ci ha proprio aggirati, senza veramente prenderci…Strano movimento del vento) con attorno il nulla.
Mi rinfranca vedere, però, che lo stato conservativo è ottimo e attento, sia per quanto riguarda la vegetazione che la muratura.
Diciamo che per fortuna Castel del Monte si sa proteggere dagli uomini.
E questa è l’ultima immagine che mi è rimasta nella memoria, lasciandocelo alle spalle.
Ed è Stupor Mundi.
Ecco un’altra recensione su un museo.
Perchè ogni buon rievocatore deve sempre trovare il modo per visitarne uno, soprattutto se si è accampato nel suo giardino.
Settimana scorsa ero a Monterenzio per la manifestazione ” I fuochi di Taranis”, con l’Emporium del Vicus Italicus.
Strano per me stare dietro a un bancone per fare il mercante: non sono fatta per vendere. Anzi molto probabilmente o morirò povera e i miei manufatti in un cassone oppure qualcun’altro si arricchirà alle mie spalle. Vabbè, lasciamo stare.
Comunque a Monterenzio toccava esserci perchè quando gli amici chiamano non è possibile riespondere di no!
Così mi sono riposata un poco, girando e rigirando le tavolette, chiaccherando con amici e sconosciuti e passando da un caldo tremendo al dì al freddo più gelido che mai mi ricordassi alla notte (scema io che non mi sono portata dietro le mie coperte e solo una pelle di pecora!). Manco fossi ad Hattin…
Nel non fare nulla io e Cinzia abbiamo pensato di andare a vedere il mercatino e dove vendessero le orecchie da elfo che tanto stavano spopolando nella festa (con sommo distrubo psico-fisico nostro), ma alla vista di una porta aperta del museo, beh…insomma…non si poteva non entrare! E poi costava un euro!
A saperlo saremmo andate a vederlo alla sera, unendo utile e dilettevole (magari ci scaldavamo anche).
E devo ammetterlo ai nostri occhi si è aperta una meraviglia…
Mentre l’entrata è semplice, dominata da un bel bianco, il museo vero e proprio si illumina grazie a una struttura moderna e un soffitto a vetri che esalta tutta la sala. Inizio ad apprezzare sempre di più questa commistione fra nuovo (edificio) e antico (reperti).
Una struttura limpida, luminosa, solare (certo, magari d’inverno e con la pioggia rende di meno), che esalta al massimo la ricostruzione di una capanna celta, attorno alla quale si dipanano tutte le teche e anche la ricostruzione.
Teche di varie altezze, ma la maggior parte basse ben fruibili da bambini, ma anche da portatori di handicap.
Proprio in questo aspetto il museo vince enormenente quando ci siamo accorte che alcune didascalie erano scritte normalmente ma anche in braille.
Ora qualche stolto potrà dire “come fa un cieco a vedere un museo?”. Un museo vecchio stampo non lo vedrà mai, ma questo che ha riproduzioni di reperti che possono essere toccate e “usate” dai visitatori, lo può vedere benissimo.
E ciò è stupendo. Entusiasmante.
Guardate come è facile fondere antico e moderno, mentre i due soffitti sembrano come intrecciarsi. Sono rimasta veramente stupita.
…e la devo vincere.
Questa lotta riguarda la possibilità di fare foto, a uso scientifico e personale, in musei, mostre, siti archeologici.
Adesso tutti voi mi direte “Non si può!”, ma vi siete mai chiesti perchè?
Beh, sicuramente uno dei motivi è che le persone non capiscono e usano il flash, il quale risulta dannoso (non il vostro singolo, ma tutti quelli messi insieme!) per il reperto. E gli altri?
Un altro potrebbe essere che lo Stato ne deteniene i diritti. Bene, allora sarebbe illegale fare foto ai monumenti anche fuori da essi in una zona di neutralità (prima del portone, sulla strada, dalla finestra del vicino…), cosa che invece non è.
In più nei musei, nella maggior parte di essi, non esistono cartoline o piccole dispense su singoli reperti, ma, quando va bene, volumoni fumosi, polverosi e spesso senza immagini, dal costo proibitivo. Non parliamo poi di quei musei (vedi alla voce “Museo Archeologico di Parma”), che non ha nemmeno uno stralcio di foglio divulgativo…
Eppure, a onor del vero, proprio quest’ultimo permette di fotografare i reperti, dopo aver sottoscritto un foglio in cui si dichiara che le foto serviranno per scopi senza lucro e di ricerca (dovrei vederlo, me ne hanno parlato. Ma conosco i reperti del museo da secoli: sono gli stessi da quando sono bambina. Mi riprometto di prenderne visione). Ora questo vuol dire che una qualche legge c’è…
E se il Museo (metto foto sotto, per vedere in quanti lo riconoscono), in totale restauro e riammodernamento si dimentica di posizionare i divieti di fare fotografie, che cosa succede?
E’ vero che la legge non ammette ignoranza, ma qui uno può giocare sul filo delle regole.
Il museo è una piccola struttura moderna in un paesino in provincia di Udine. Ha una visuale stupenda sulle montagne ed è circondato dalla natura, anche se la civiltà si espande (da dove è scattata questa foto ci sono una serie di villette a schiera di ultima generazione che fanno capire come Attimis si stia allargando).
Il museo raccoglie i pezzi ritrovati durante gli scavi nelle rovine dei castelli del circondario.
Purtroppo le rovine lo sono da tempo immemore quindi non è che ci sia tantissimo. E soprattutto anche qui c’è il famoso buco nero del magazzino, dove moltissimi reperti trovano la sua sistemazione. Perchè questi magazzini italiani sono così affamati di reperti archeologici? Bha, ne parleremo poi…
L’accoglienza, per un medievalista, è delle migliori:
Un mosaico moderno fatto molto bene cerca di farti calare nell’atmosfera del periodo da vedere.
Mentre facevo la mia personale visita, vi era una scolaresca intenta alla giornata al museo. Deo Gratias! Anche nel posto più sperduto del mondo si capisce che gli oggetti non sono morte e morti, ma raccontano storie e lavori (per quello che ho potuto sentire, spigavano ai bambini cos’è l’archeologia. Magari qualcuno di loro rimarrà impressionato).
Fra i molti pezzi, quello che colpisce è questa madonnina con Bambino acefala, grande quando un indice. Ed è nel mio periodo!
Faccio l’esaltata perchè ho notato che nelle mie ferie fra Udine e Trieste il Medioevo inizia dal 1300…difficile trovare reperti appena prima.
Una scheda tecnica del museo.
Ha ragione Maria, molte cose vanno sistemate, prima fra tutte la galleria dell’horror. Una sala diorama con state di cera che si squagliano: il cavaliere con un tumore al collo, il suo signore con l’artrite alle mani deformi, il bambino dal volto girato perchè è meglio, la dama con spuncioni di ferro che le escono dappertutto. Vi prego abbatteteli. Per il bene di tutti. Soprattutto per quei poveri bambini che vanno al museo e non devono essere traumatizzati. Posso anche soprassedere sulla filogicità di abiti e armamenti, ma sul fattore paura no.
Andrebbe anche risistemata l’armatura del 1300 montata a pezzi su un manichino e sospesa nel vuoto. Perchè?
Iniziamo tutti insieme una campagna promozionale che debba servire come curiosità (?) per tutti coloro che ci governano. No, lasciate perdere bandiere di parte e partito, slogan e altre cose simili. Non mettetevi nemmeno intesta di fare sfilate, magari portandovi da casa i san pietrini.
La cosa è molto più semplice.
Nell’articolo di Archeo di Marzo “Missione possibile”, sulla situazione greca, c’è una catalogazione di merito dei musei, valutando i servizi offerti.
Al primo scalino: servizi di base. Imprescindibili. E sono depliant informativi, toilettes (aggiungerei io funzionanti e pulite), parcheggio, bar o distributore dell’acqua automatico di acqua.
Al secondo scalino: i servizi auspicabili. Offrono maggior agio. Sono WC per disabili (bhe in un mondo civile dovrebbero essere nella sezione di base), pannelli esplicativi bilingue, guida o catalogo, punto vendita per libri (ma anche questi non sarebbero di base?).
Al terzo livello: i servizi specialistici. Presenza Eventuale. Sistemi di audio-guida, programmi educativi per bambini, sistema meccanizzato di emissione, percorsi tattili, etc. Vabbè, qui siamo alla fantascienza.
Ora la campagna prevede che i fruitori dei musei lasciassero uno scritto, uscendo dal museo, con la valutazione usando la scala sopra scritta. Magari aggiungendovi anche un commento caustico se serve (mica c’è scritto che il turista debba essere per forza simpatico…Educato sempre e comunque, simpatico no). Se non esiste un libro delle note, lasciate un post it in un punto visibile e che non rovini nulla (su una statua o un quadro non vi farebbe guadagnare punti).
Insomma, come al solito, fatevi sentire. E ricordatevi che scripta manent verba volant. Quindi scrivete gente, scrivete!