Le Donne fra l’8 marzo e la Storia

Tranquilli non sarà un post sulle donne, sulle rivendicazioni o sulla Storia di questa giornata commemorativa che è diventata una festa-farsa. Chi mi conosce sa che non la festeggio, che la detesto, che la mimosa puzza e che da un estremo all’altro mi viene il nervoso a leggere e ad ascoltare certe cose. Questo post parla un po’ di quello che mi gira in torno, delle donne che negli ultimi anni ho visto “nascere” e far girare questo mondo che è il mio: la rievocazione.

Il fenomeno del living history o rievocazione è prettamente maschile, diciamocelo: è il sogno di ogni ragazzino di poter diventare il soldatino con cui giocava, senza per forza andare a fare la guerra vera. Un po’ come il mondo nerd: si realizzano le fantasie senza l’orrore della realtà. Di fatti la parte più preponderante è la parte militare, volenti o nolenti. Quando 27 anni fa sono entrata nel mondo del gioco di ruolo da tavolo e poi dal vivo e 16 anni fa in quello della rievocazione ero una mosca bianca, anche perché non accompagnavo nessun compagno/moroso/marito, ma andavo con mio fratello (è tutta colpa sua, sappiatelo!) e poi andavo per stare in compagnia e godermi gli amici: in mondi in cui la femmina era un essere mitologico o una palla al piede, io che volevo fare e che non stavo nel ruolo della bella statuina ero una bella spina nel fianco. Per mia fortuna ho avuto buone spalle maschili e qualcuna femminile e sono ancora qua, a rompere le scatole e a fare (non so cosa, ma qualcosa faccio).

In questo anni, limitandomi alla rievocazione, ho visto crescere tantissime splendide rievocatrici, alcune forti ricostruttrici e tante donne che pur accompagnando i propri consorti hanno saputo imporsi per carattere, gentilezza, disponibilità, forza e determinazione. Non farò nomi, ma spero che alcune riescano a riconoscersi.

Ho visto archeologhe faticare, studiare, progettare, girare l’Europa e poi sentire il rumore delle porte che si chiudono, lanciare curricula e riciclarsi in altro dall’insegnamento nelle scuole (entrando in un vero girone dantesco) al provare a fare cultura e Storia; alcune ci riescono, alcune passano la mano, alcune non mollano e alcune, pur sapendo che sarà un futuro incerto, quel pezzo di carta su cui scritto “archeologa” lo vogliono a tutti i costi. Non è facile, lo vedo e credo e sento che le mortificazioni sono più ampie delle soddisfazioni, che elemosinare una pubblicazione è quasi un pro forma, che aprire una partita iva e poi chiuderla per colpa delle tasse (capita, sappiatelo, mica tutti riescono a sopravvivere) sia uno di quegli scogli che sembra doveroso superare. Eppure continuano a fare, costruire, mettere in piedi, progettare, portare idee nei musei e incazzarsi ancora e ancora e ancora, imperterrite.

Ho potuto collaborare con storiche di grande spessore accademico e culturale, imparando da loro, apprendendo dai loro testi e stupendomi del vederle sorridere anche quando senti nel fondo delle parole la fatica di fare ricerca o di non poter salvare luoghi studiati devastati dalla follia della guerra. Amare una cosa, studiarla nelle pieghe e poi vederle sbriciolarsi per vari motivi è come veder morire una persona cara: qualcosa che non puoi impedire, pur volendolo.

Ho visto una piccola casa editrice nascere e tenacemente dalla forza di una Donna che non può fare a meno di parlare di Storia, mettere su mostre e fare fare fare in questo mondo in cui è chiaro che con la cultura non si può mangiare. A volte non si può fare a meno di fare follie per questo demone che dentro rugge e che non ti fa pensare ad altro che a quanto siamo fortunati di poterlo avere dentro.

E poi ci sono loro, quelle splendide e tenaci donne che ho l’onore di conoscere da anni. Alcune le ho viste “crescere”, affrancarsi, imparare la lezione a andare coi loro passi; altre le ho viste giganteggiare mettendo in riga omoni grandi e grossi e forse anche un po’ spocchiosi. Perché il mondo della rievocazione non è molto diverso dalla vita vera coi loro minus habens che pensano che le donne servono solo al sollazzo, che rompono le scatole se esprimono un pensiero (di solito basta far muovere un neurone e già si è geni in confronto a certi figuri), che farebbero qualsiasi cosa per rimetterti in riga e in un ruolo che è quello dell’accudimento. La vita è così, mica possiamo pensare di vivere in un’isola felice. La differenza è che io qui, in questo folle mondo da sottocultura sociale, ho incontrato molti più uomini disponibili a mettersi in confronto anche con una donna; ad alternare paternalismo a sincera stima; a valutare la meritocrazia come un dato di fatto anche quando si aspettano da te di più che da un loro sottoposto: in questo mondo la fatica che sprechi e il sudore che cacci fuori spesso viene ben ripagato.

Quindi sì, sono fortunata a stare in questo mondo per gli uomini con cui è un piacere scambiare battute, chiacchiere e qualche sana botta e per le donne che, tolta qualche oca di passaggio, sono toste e determinate.

Alle mie amiche archeologhe (qualsiasi cosa voi stiate facendo lo sarete sempre), alle mie amiche storiche, alle mie amiche rievocatrici e ricostruttrici va il mio grazie: grazie di esserci. E non per quel malsano senso che le donne rendono tutto più bello o perché siete “l’altra metà del cielo” o str****te del genere che vi avviliscono nel vostro ruolo di essere umani: non siete così perché casualmente siete nate donne, ma perché volutamente siete donne con capacità e questo è un merito e un accrescimento e questo merito lo avete indirizzato a qualcosa che è un bene per tutti cioè fare cultura.

Sogno un giorno in cui non ci sarà bisogno più di parlare di 8 marzo, perché le donne non saranno più legittimate a uscire di casa con le amiche solo quel giorno (parlo per esperienza vista); o non dovranno sottostare a colloqui ridicoli e patetici che mettono in mezzo scelte sentimentali o progettuali di vita famigliare prima delle competenze; o pagate meno di un uomo per lo stesso lavoro; di donne in posti chiave nella cultura dal ministero della cultura a direzione di musei senza che ciò faccia scalpore (in bene e in male) perché siano lì per il loro valore e non per le quote rosa; che non ci venga più detto che non possiamo fare cose perché “siamo più piccole, deboli e meno intelligenti” e che sarebbe meglio che stessimo a casa ad accudire i bambini (come se quello fosse facile comunque, razza di …); che le archeologhe, storiche, restauratrici, rievocatrici sono brave, ma “fatemi parlare con un uomo responsabile”; che siano le nostre competenze e non il nostro utero a fare la differenza perché se un tempo qualcuno diceva che “oltre alle gambe c’è di più”, ora è tempo di dire che quel più è il nostro cervello. Nel mondo che gira attorno alla cultura ci sono buoni segnali, non posso dire di no, ma se siamo ancora considerate come un fenomeno, un articolo da giornale che fa scalpore come un panda albino (esistono? mah, mi è venuto così il paragone), soprattutto considerando l’alto numero di donne che si sono negli anni dedicate a fare Cultura, beh non è cosa che mi faccia fare i salti di gioia.

Dateci una leva e un punto d’appoggio e vi solleveremo il mondo, ma uomini collaborate con noi e questo mondo lo ribaltiamo insieme. Buon anno a tutte, perché non ci basta un giorno per sapere che e come possiamo farcela.

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Io e Betta degli Aper Labronicus. Perchè essere donne combattenti vuol dire anche prendersi un sacco in giro e divertirsi a farlo.